Passo del Gavia, la salita delle emozioni.

racconti & riflessioni

Il Passo del Gavia, con i suoi 2652m di altitudine, collega Bormio a Ponte di Legno. E’ il punto più alto e più a nord che collega la Valtellina alla Val Camonica. Bello, intrigante, divertente e impegnativo.

La prima volta che ho affrontato il Gavia in bicicletta ero assolutamente ignaro di quello che stavo facendo. Avevo da pochissimo iniziato a dedicarmi con “mezza convinzione” alla bicicletta da corsa, avevo 30anni, o pochi di più, ero in vacanza estiva a Ponte di Legno. Un posto, da dove si può salire ai passi del Tonale, del Gavia e anche al Mortirolo dalla parte “facile”. Un posto, dove chi non capisce il bello della fatica, non ci viene. Un posto, in Lombardia, dove chi vuole fare salita trova quello che cerca. E chi non sa che cosa è la salita in bicicletta, lo impara subito.

La prima volta che ho affrontato il Gavia in bicicletta ero con un amico, Franco, con cui ancora oggi pedalo regolarmente. E questo è uno degli aspetti più piacevoli delle amicizie che nascono pedalando. O delle pedalate che nascono in amicizia? non so. Ma conta poco. Fatto sta che dopo pochi anni abbiamo creato l’equazione bici+amici=giorni felici.

La prima volta che ho affrontato il Gavia in bicicletta la strada, da Sant’Apollonia in su, non era asfaltata e a tratti, pedalando in piedi, la ruota posteriore slittava. Solo i tornanti e la galleria senza luci, venivano asfaltati con una certa, ma insufficiente, regolarità.

La prima volta che ho affrontato il Gavia in bicicletta non pensavo ancora alle Strade Zitte e Turbolento Veloclub Milano era soltanto un concetto. O forse neanche.

Da allora per noi e per il nostro VeloClub Turbolento è cambiato molto. Sono nate le Strade Zitte e il sito che le divulga, e più recentemente gli Italian VeloTours, le proposte di ciclismo turistico in Italia per  ciclisti sportivi si, ma non assatanati di racing.

L’ultima volta che ho affrontato il Gavia è stato la scorsa estate, durante una Stelvio Experience, una intera settimana in cui dormendo a Bormio, si affrontano tutte le più dure salite della zona. Dallo Stelvio affrontato dai due versanti in un unico tour di giornata, al Mortirolo e Gavia, anche in questo caso con unico tour di giornata. Che esperienza.

L’ultima volta che ho affrontato il Gavia avevo da poco compiuto i 60anni. La differenza tra la prima e l’ultima volta è nella diversa consapevolezza con cui ho affrontato la salita. La fatica. Il respiro.

La prima volta la mia vecchia bici, una Colnago in acciaio, montava un 39-52 (forse anche 53) con un 28 posteriore. Quanti rapporti avesse la ruota libera, non lo ricordo. Di certo i manettini del cambio erano ancora sul tubo obliquo. Era di quella specie che oggi entra di diritto nell’albo delle biciclette storiche, buone per l’Eroica.

L’ultima volta ero con una Cinelli in carbonio che in salita sembra salga da sola. Davanti la compatta 34-50 con il solito 28 posteriore. Così si riesce ad arrivare dovunque.

La prima volta che ho fatto il Gavia, puntavo a fare solo il Gavia da Ponte di Legno e senza fermarmi neanche una volta. In realtà a Sant’Apollonia, prima del vero attacco, una sosta si faceva.

L’ultima volta, sono partito da Bormio in direzione di Mazzo pensando che non sarei mai riuscito ad affrontare in successione i due passi. Due, tra i più duri dell’arco alpino. E invece ha evidentemente giocato a mio favore l’esperienza e la resistenza che si accumulano con l’età. E sicuramente una migliore preparazione psico-fisica. Non voglio parlare di “allenamento”, perché troppo legato al mondo racing. La preparazione di chi affronta, anche in modo sportivo il ciclismo turistico è diversa da chi cerca solo la prestazione. Si privilegia la resistenza allo spunto, la regolarità agli scatti, la robustezza del gesto atletico e del mezzo utilizzato all’agilità e alla delicata leggerezza del proprio mezzo.

Non ricordo quante altre volte ho fatto il Gavia, ricordo però con certezza di non averlo mai affrontato, in salita, dal versante di Santa Caterina, o Bormio che dir si voglia.
Sarà per via di quell’epico passaggio del Giro 1988, tra due muri di neve, e non ci sarebbe niente di male in una giornata di sole, ma allora nevicava anche. Ed era maggio. Come sempre è, per il Giro. Sarà perché dalla parte di Ponte di Legno l’asfalto è arrivato dopo e si sa, il ciclista, potendo scegliere, quasi sempre sceglie l’impresa più impegnativa. Più estenuante, più dura. Salvo pentirsene col pensiero, durante lo svolgimento. Ma perché, ma chi me l’ha fatto fare….dimenticandosi di tutti quei pensieri, non appena arriva in vetta.

Non ricordo quante altre volte ho fatto il Gavia, ma il ricordo netto di tutte le volte è un tratto di strada ripida nel bosco, che culmina in un tornante verso sinistra, quindi con vista verso il fondovalle della Valle di Viso e l’alto crinale tra il Passo dei Contrabbandieri e la Cima di Bleis. Come compagnia un cielo azzurro e alto che dal tornante si stacca e sale, sale, sale, senza fatica. E in quel blu meraviglioso, caldo, italiano, aeronautico, per dirla alla Paolo Conte, anche la fatica si disperde, si dimentica, si attenua. E non tormenta, più di tanto, le gambe e il fiato di chi felicemente e semplicemente gode di questa natura, di questa emozione, di questa magica salita.

In bicicletta si ha tanto tempo per pensare e buoni pensieri fanno passare la fatica in secondo piano. La bicicletta permette di pensare molto. Lo diceva spesso Alfredo Martini che definirlo semplicemente il CT della nazionale di ciclismo, è riduttivo nei confronti dello spessore umano della persona. E in salita i pensieri sono più forti, più intensi. Lo spazio si riduce, in salita ci si sposta sempre di pochi chilometri, il tempo si dilata. La fatica è lenta. Lentamente si sale e altrettanto lentamente si ragiona, con una lentezza profonda. Se sulle Strade Zitte di pianura, la conversazione e la loquacità dei compagni di strada trova terreno fertile, gli strappi di queste salite riescono a zittire anche i più loquaci amici di bici.

Ma torniamo sulla salita, una delle più belle e impegnative d’Europa.

Non saprei dire qual’è il versante più bello paesaggisticamente. Certo lo spettacolo che si gode dal passo verso il gruppo Ortles-Cevedale, le 13 cime e compagnia briscola è di fortissimo impatto. Siamo tra il verde-giallo ocra di una tundra glaciale che circonda il laghetto pochi metri sotto il passo e il bianco dei nevai. A questa altezza, tipicamente alpina (siamo oltre i 2.600 mslm), il verde brillante dei boschi di aghiformi cede il passo al grigio scuro della roccia e poi al bianco intenso del ghiacciaio. La vegetazione qui ha la caratteristica di mantenere colori forti e vivi, fino ad alta quota. Nelle giornate limpide il contrasto tra il verde, il blu intenso del cielo e il bianco dei nevai sono uno spettacolo naturale e intenso. E di nuovo la mente parte, prende il sopravvento e ci si trova a pensare che si, la bicicletta è una magia, un prodigio meccanico per creare emozioni. Un fedelissimo marchingegno per scoprire, apprezzare, scrutare, immergersi nel nostro pianeta. Succede guardando il paesaggio, succede pedalando tra amici, succede pensando all’aggregazione e alla solidarietà che sa creare. Perché la bicicletta è, in primis, un’acchiappa-emozioni.

Dettagli tecnici

Per salire al Passo Gavia si esce da Ponte di Legno in direzione est-nord-est poi decisamente nord. In località Ponte de’ Buoi finisce l’abitato, si superano Zoanno e Precasaglio, si affrontano i due tornanti di Pezzo, uscendone a quota 1.460mslm. Si sale, con pendenza già piuttosto impegnativa verso la piccola spianata di Sant’Apollonia, con la sua antica osteria della Pietra Rossa. Siamo a 1600mslm. Fino a qui la strada è larga e con un po’ di traffico.  Da qui, sulla destra, inizia la salita “vera”, con pendenza assai più decisa.

Del Gavia non è tanto importante sapere quant’è la pendenza media, che è decisamente elevata. E’ più importante sapere che c’è un lunghissimo tratto in mezzacosta. Ed evidenzio il mezzacosta, perché nei tornanti, almeno, si respira.

Con la prima serie di sei tornanti si guadagna velocemente quota con un balzo di 340m, arrivando a 1940 mslm. Si pedala in un meraviglioso ambiente alpino, alte conifere filtrate dal sole. Con i successivi quattro tornanti, si arriva a quota 2100 e qui inizia il mezzacosta di cui sopra, che termina dopo la galleria a quota 2400.

Mancano tre soli tornanti alla fine. Dopo la galleria la pendenza molla un pochino. Si vede il rifugio Bonetta e si comincia a pensare al te con una bella fetta di torta. Quota 2652 mslm. Mille e cinquanta metri sopra Sant’Apollonia, 1400 metri sopra Ponte di Legno. Sedici chilometri da Ponte di Legno, undici da Sant’Apollonia. Anche questa è fatta! Carpe diem.


pubblicato su Cyclist Magazine n.1/marzo 2016

Daniela Schicchi

Marco Pastonesi

Paola Gianotti

Alberta Schiatti

Paolo Tagliacarne

Paolo Della Sala

Anna Salaris

Francesca T

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